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Genitori alle prese con le scelte di studio/lavoro dei figli. Ho visto cose che voi umani…

E’ tempo di scegliere l’Università, per molti.
E’ tempo di approdare al mondo del lavoro, per altri –  poco più avanti nel cammino.

In entrambi i casi, la scelta è quanto di più difficile appaia fare.

Tra i molti motivi per cui tutto sembra complesso, ce n’è uno, che sempre più di frequente si sta affacciando sullo scenario: “i genitori ombrello”.

Ovvero i genitori che seppur armati dalle migliori intenzioni, occupano fette importanti di spazi di autonomia, decisionalità e sviluppo dei figli, pur di proteggerli.

Tocca dirlo, non nascondersi dietro un dito.

Sono moltissimi i ragazzi che aprono la sessione dicendo: “Io so che mi piacerebbe fare x….ma mia mamma dice che….”
Notate l’avversativa MA.

Non tutti i ragazzi hanno le idee chiare, anzi….e sui motivi di tanta incertezza scriverò un altro post perchè merita attenta disquisizione, ma  – e qui l’avversativa la uso io volutamente – anche nei casi in cui le idee ci sono, e sono pure buone, si innesta un’altra fonte di confusione: il giudizio dei genitori su cosa sia valido o meno, su cosa dia lavoro e cosa no, su cosa vogliono o meno per i propri figli.

Inutile negare che il loro potere di influenzamento sia enorme: dal punto di vista emozionale/affettivo e dal punto di vista economico.
Se babbo e mamma non ci credono, e non aprono il portafogli, a 23 anni spesso non sei in grado di affrontare le scelte più impegnative e visionarie, proprio quelle che ti farebbero uscire dalla mischia, che segue tutta la stessa strada preconfezionata e spesso votata al fallimento.

E non è questione di non sapersi gestire da soli, molti dei ragazzi che hanno la lungimiranza di visione e del saper valutare fuori dagli schemi, sono anche quelli che di notte fanno il barista, il portinaio etc…ma – e riuso l’avversativa – tutto ciò non basta per pagarsi un Master o una esperienza all’estero di un certo calibro o per reggere botta se il piano è un pò più a lungo termine.
Ammettiamolo, finiamola di scaricare addosso ai ragazzi ciò che è un dato oggettivo, e ripartiamo con l’analisi.

Ci sono diversi ordini di problemi che possono investire i genitori oggi:

1) hanno vissuto e vivono il mercato del lavoro da un punto di vista molto diverso, cioè di chi ci sta già dentro (anche se con difficoltà) e non di chi ci deve entrare. E non vale il discorso “anche io ai miei tempi non ho ricevuto la pappa pronta“, perchè la società tutta, viveva condizioni completamente diverse da oggi.
L’esperienza che hanno, è cristallizzata su regole molto più stabili, che non hanno più a che vedere con la fluida incertezza imperante di oggi, soprattutto in fase di entrata (non a caso la frase più assurda ma vera che i ragazzi oggi usano è “mi è stata/non stata data la possibilità di…“. Una frase che personalmente detesto, perchè intrinsecamente “passiva” e che ogni volta che ne ho l’occasione provo a smontargliela, provo a far prendere loro consapevolezza dell’importanza del linguaggio, e di come possiamo usarlo a mo’ di grimaldello per rompere schemi in cui finiamo altrimenti per sentirci ancora più vittime e pure condiscendenti, MA devo ammettere che è quanto i ragazzi sentono oggi, e vorrà pur dire qualcosa).

2) non sono laureati e quindi non riescono a comprendere cosa questo voglia dire. Mi capita spesso che figli di genitori non laureati vengano spinti a fermarsi dopo la triennale, non per motivi economici (che sarebbe una più che giustificata ragione per molte famiglie) ma solo per principi tarati su un mondo che non c’è più…perchè insomma “volevi studiare e te lo abbiamo concesso, ma ora mettiti a lavorare“. Questo meccanismo rende molto chiaro il fatto che tali genitori non hanno chiaro per nulla che:

  • la triennale è una laurea di I livello e come dice la parola…esiste un II livello, se vuoi prenderti la laurea che equivale pressapoco alla  laurea del vecchio ordinamento di un tempo, devi necessariamente proseguire con la magistrale. Il mercato del lavoro infatti non ha minimamente recepito tale distinzione, e non ha molte posizioni aperte per dei triennalisti, li ritiene scarsamente preparati, spesso non a ragione, ma tantè, e visto che là fuori c’è una pletora di laureati magistrali a spasso da scegliere, perchè dovrebbe in effetti accontentarsi?
  • il “mettiti a lavorare” non ha più lo stesso senso. Se il mercato non ha posizioni aperte io posso pure decidere di diventare Re della Luna, e allora? Certo posso trovare qualcosa per mangiare e non pesare in famiglia, ma sono gli stessi lavoretti che facevo durante gli studi o poco più. Quindi quei 3 anni, bloccati lì, rischiano di essere un investimento  parziale, molto meno produttivo di quanto una famiglia si attendesse di fare. Se fai 30… fai 31! Magari pure lavorando di notte per permettertelo, a una laurea triennale aggiungine una magistrale.

3) sono laureati e credono di avere molto chiaro cosa sia l’Università, ignorando che il 3+2 ha determinato logiche che hanno strutturalmente modificato il modo di vivere l’Università e progettare il proprio futuro. Motivo per cui invadono con osservazioni spesso fuorvianti il campo decisionale dei figli.

  • Ho visto genitori spingere i figli a rinunciare a ottime posizioni di lavoro in grandi aziende per fare a tutti i costi il dottorato, anche se non erano tagliati affatto, solo perchè fare il dottorato fa status, solo per poter dire che hanno un figlio eccellente…
  • Ho visto anche genitori obbligare i figli ad andare all’estero, perchè loro sono di “vedute aperte”, perchè i loro figli si devono svegliare per forza…li ho visti manipolare i figli dagli occhi sgranati in richiesta di soccorso, disarmati e impotenti di fronte a tanta aggressione ammantata di benevolenza.

4) ci sono poi i genitori che “quello che non sono riuscito a fare io, devi per forza riuscire a realizzarlo tu“. Forse la più dolorosa e subdola manipolazione che si può attuare nei confronti di un figlio. Esempio: io volevo essere avvocato, e dunque la laurea in Giurisprudenza diventa la migliore in assoluto, ed è l’unica scelta che avallerò a mio figlio se vuole fare l’Università. Genitori che preparano un imbuto decisionale infernale, senza scampo. Genitori che avviano all’infelicità certificata i propri figli, immolandoli a un pezzo di carta che LORO avrebbero voluto vedere appeso alle pareti.

A questi genitori dico che c’è sempre tempo, e se siete così decisionisti so che troverete il coraggio di prendervela quella benedetta laurea, anche fosse a 50 anni, anche solo come soddisfazione. So che ce la farete, anche a rischio di andare fuori corso. Prendetevi pure la responsabilità della vostra realizzazione, MA non quella dei vostri figli.

E poi ci sono i tanti genitori che sanno che il proprio compito è immenso e difficile, e preziosissimo, anzi delicatissimo, e tanto più nobile e potente se ripulito dai molti desideri, aspettative, dispiaceri che spesso ingolfano la strada e la relazione con i loro figli.
Quei genitori sanno che i  figli vanno supportati a sentirsi dentro, a sentire la LORO verità profonda, a credere in quanto sentono, e a provare a renderlo possibile.  Si, perchè i vostri figli vanno incoraggiati nelle loro passioni. E se siete fortunati di avere figli con passioni, lasciate che le coltivino e che li guidino. Le passioni sono un navigatore eccezionale!

Siate dei modelli, voi per primi, del coraggio di perseguire ciò in cui si crede.
Siate mentori e supporter di sviluppo. Non sostituitevi a loro. Siate al loro fianco. Quale sarà la via di sviluppo da scegliere, è affare dei vostri figli.

Là dove c’è la passione, si materializza anche la strada.
Là dove ci viene tolta ogni visione, e sostituita con quella di altri, si annasperà, come bendati, per sempre.

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