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lettera di motivazione o di “lamentazione”?

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Leggo quotidianamente lettere di motivazione scritte come candidatura per posizioni di lavoro e di stage, o per l’ammissione a percorsi di studio e formazione.

Purtroppo, il loro contenuto esprime spesso tutto fuorché motivazione, passione e interesse.
Sono certa che anche dietro lettere mal scritte ci siano sempre persone con maggiori potenzialità di quanto sembri.

Gli stessi selezionatori mi hanno in varie occasioni confessato (testuali parole): “le lettere di motivazione sono quasi sempre scritte male, non aggiungono alcun valore alla candidatura, anzi…spesso sono controproducenti”.

Direte: “ok! Allora basta non scriverle e si eviterà ogni possibile autogol”.
La questione non è così semplice.

Primo: perché di fatto una buona candidatura è sempre corredata da una lettera di motivazione. Anche quando non lo trovate richiesto, viene dato per scontato.
Del resto, non inviarla sarebbe come bussare alla porta di qualcuno e non dire perché stiamo bussando. Il CV e la lettera hanno infatti due finalità ben diverse. La lettera deve fornire al selezionatore quelle indicazioni preziose che non possono trovare posto nel CV, raccontare un storia di passione, determinazione, interesse…..motivazione appunto.
Quindi, se non scrivete la lettera, di fatto la vostra comunicazione è monca. E in assenza di elementi, le chances di arrivare a colloquio diminuiscono.

Secondo: perché chi comunica male in una lettera, in genere comunica male anche in altri documenti e progetti di lavoro (e in genere anche a colloquio non brilla).
La capacità di scrivere è sempre stata, e continua ad essere, molto importante nel mondo del lavoro. Motivo per il quale su tale competenza si viene valutati anche a partire dalla lettera di motivazione.
Del resto, se presentiamo inadeguatamente noi stessi, perché un’azienda dovrebbe crederci capaci di ben rappresentarla al momento debito?

Questo post è quindi dedicato all’importanza del personal branding, ovvero la capacità di far nascere nella mente del selezionatore una ragione per sceglierci. Tutto questo, prima di poter arrivare a colloquio, passa ovviamente anche attraverso la lettera di motivazione e, più nello specifico, attraverso il nostro uso del linguaggio.

Nell’atto stesso di scrivere, mettendo i propri pensieri su carta, ciascuno di noi potenzia certe direzioni anziché altre.

“Le parole sono importanti” diceva Nanni Moretti in un suo celebre film. Ebbene, tutto ciò è verissimo. Se non bastasse a convincervi, cito un altro concetto magistralmente espresso da Will Bowen nel suo libro Io non mi lamento. Come smettere di lamentarsi e migliorarsi la vita, ovvero “I nostri pensieri creano il nostro mondo, e le nostre parole rivelano i nostri pensieri.”
Se solo prestassimo attenzione a ciò che diciamo, e a maggior ragione a ciò che scriviamo, ci renderemmo conto di quante lamentele esprimiamo, e di come queste ultime finiscano per modellare la nostra storia personale e professionale.
Lamentele, sì. Avete capito bene.
La maggior parte di noi non è minimamente consapevole di lamentarsi.

Il momento che stiamo vivendo è critico, e su questo non ci sono dubbi. Faccio colloqui di orientamento a ragazzi e professionisti in cerca di lavoro, e conosco bene le situazioni che si trovano ad affrontare. Negli ultimi due anni il mio lavoro si è progressivamente spostato sul ridare energia alle persone per poter, in seconda battuta, poter iniziare a supportarle nelle strategie di ricerca del lavoro.

Ciò non toglie che, pur senza accorgersene, molti finiscano per assumere come modalità di comunicazione privilegiata la lamentela. In sostanza, scelgono di parlare di ciò che non vogliono, anziché focalizzarsi su quanto davvero vogliono.

Vi faccio esempi concreti usando spezzoni tratti da lettere di motivazione di neolaureati:

“ …Vi invio la mia candidatura, convinto che in questo momento di crisi un’occasione come quella che offrite è preziosa per consentirmi di esprimere creatività e versatilità, dato che l’assetto dell’Università Italiana non me lo ha permesso”

e anche:

“…Anche se non sono in possesso di esperienze lavorative, in quanto il mio percorso di studi non le prevedeva come obbligatorie, sicuramente può risultare formativo cominciare finalmente a poter mettere in pratica quelle che ad oggi sono restate pure conoscenze accademiche”

e inoltre:

“…Nell’esperienza maturata mi sono confrontato con ambienti a conduzione familiare, in cui ho sperimentato le difficoltà e le complessità che possono presentarsi nella dinamica delle relazioni umane in quanto tali. Spero che un ambito strutturato come il vostro potrà garantirmi le migliori condizioni per lavorare con gli altri al meglio…”

Tutti questi esempi, trasmettono problemi e non soluzioni. Sicuramente ciascun candidato avrà pensato di tramettere un concetto positivo, un’aspettativa, un interesse….peccato che invece, la modalità scelta non ha fatto che evidenziare l’esistenza di un problema. La soluzione infatti non può fornirla l’azienda. La soluzione, i vantaggi, occorre che li fornisca o li lasci intravedere il candidato.

Lamentarsi di come funzioni il sistema accademico, o il mondo del lavoro, o un pregresso ambiente di lavoro – per quanto sia comprensibile e anche ragionevole – è comunque puro “inquinamento”. Non serve nell’economia della candidatura. Sposta l’attenzione su quanto non ci piace, crediamo ci abbia ostacolato, depotenziato, non consentito di esprimerci. Fa parte di ciò che è stato. Non possiamo cambiarlo. Esprimerlo non rafforzerà l’empatia del selezionatore. E, spero sia ormai chiaro, non è altro che lamentela fine a se stessa, che non porta né valore, né soluzioni. Non produce nulla se non una barriera. Verremo percepiti come dei possibili piantagrane focalizzati sui problemi e potenzialmente capaci di attirarne altri.

La lamentela allontana da voi ciò che desiderate di più, allontana anche il lavoro.
Nonostante possiate avere tutte le ragioni per recriminare rispetto a quanto vivete o vi è accaduto, sganciatevi da tale pensiero, e non lasciate che continui a condizionare la vostra esistenza e la vostra carriera. E’ come se foste lì a giustificarvi per non aver realizzato i vostri obiettivi, rafforzando un’immagine di vittima. Focalizzate l’attenzione oltre il problema. Parlate solo di ciò che desiderate, concentratevi su ciò che volete che capiti, e non il contrario.

Nelle nostre parole c’è molto potere, e quando cominciamo a modificare il nostro modo di esprimerci possiamo influire sul contesto e cambiare la nostra vita.
Evitiamo di comportarci come degli scolapasta dai cui forellini lasciamo uscire energie vitali. Immaginiamo invece di trattenere quell’energia e di focalizzarla sul nostro obiettivo. Sfruttiamo lo spazio scritto di una lettera, e anche l’occasione di un colloquio, per usare parole che recano soluzioni, costruiscono relazioni positive, aggiungono valore…prima di tutto a noi stessi.

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