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Lavoro, Talent Shows e Storytelling…come allenarsi al successo

Per anni ho sentito chiunque scagliarsi contro i Reality Show o i Talent Show, programmi tipo il Grande Fratello, Amici, the Voice, etc… e in tutta sincerità, non ho mai capito seriamente il perchè. Da onnivora appassionata di comunicazione mi è sempre piaciuto cercare di capire il funzionamento delle cose, senza anteporre alcun giudizio, ponendomi in ascolto, in modalità il più neutra possibile o di studio del fenomeno.

Le ragioni di chi spesso accusa tali programmi si concentrano prevalentemente sul ritenere che il vero artista, il vero imprenditore, il vero “qualsiasicosa” sia colui o colei che si sono fatti un “mazzo tanto”, coloro che la gavetta l’hanno conosciuta, che sono stati quantomeno a suonare in ogni locale del nostro belpaese prima di essere notati, e forse anche finendo per non essere notati comunque. E per differenza…chi accede a tali programmi di fatto “quel mazzo” invece non se lo farebbe.

La mia breve (un anno) esperienza giovanile come comparsa in un famoso programma televisivo domenicale – perlopiù utilissima per pagarmi gli studi, e soprattutto i miei primi anni di lavoro come designer, trascorsi nello sfavillante e sfidante mondo della moda, mi hanno insegnato invece che mai nulla è come sembra. Che se anche ti faccio vivere un sogno in passerella che dura qualche minuto di pura estasi, dietro è tutto un fervore di sarte, di stagisti, di parrucchieri, di tacchi e di lampo che si rompono all’ultimo istante, di nottate intere per tirare fuori la giusta collezione, di arrabbiature – che neanche il Diavolo Veste Prada è riuscito a descrivere – perché il tessuto non arriva in tempo…ecco sarà che ho avuto questo prezioso imprinting, ma dietro ogni show, io cerco sempre la realtà, la vera e dura (ma spesso anche divertente) realtà di quel lavoro…perché so che c’è, anche se non la vedi, ed è tanto più difficile quanto più sono bravi a non fartela vedere.

Ed è quella realtà che mi interessa conoscere. Ed è proprio quella l’informazione che oggi i ragazzi alle prese con le scelte del primo lavoro cercano, quando mi dicono “sì, ‘forse’ mi piacerebbe diventare ‘xyz’ ma in realtà io non so cosa voglia dire fare quel tal mestiere”… ed è vero che lo scopri solo facendolo, ma è anche vero che oggi viviamo sovrastati dalle tantissime informazioni, ciò che viene mostrato è troppo spesso “solo” il risultato finale di chi ce l’ha fatta. Il risultato, non il percorso. Il cosa, non il come.

Invece del risultato, io continuo a ritenere molto più interessante il percorso, se vuoi capire. Se vuoi capire davvero. Il racconto del risultato può essere bellissimo, ispirare (e ci vuole!), ma è decisamente inutile per capire come arrivarci.
Poi è vero che ognuno trova il suo proprio modo – e non può che essere così – ma a mio parere abbiamo proprio staccato il cordone ombelicale con la realtà…non siamo più esposti a ciò che davvero ci serve per renderci conto di come funziona.

Motivo per il quale, non disprezzo i reality show e tutti quei programmi che “provano” a farti vedere un percorso (seppur costruito a tavolino)…e non solo il risultato. Che ti fanno vedere i pianti e le arrabbiature, il sudore e le incomprensioni, la passione e le delusioni. Perché la formula del successo è un’alchimia complessa, e in un mondo distaccato da se stesso, che guarda sempre e solo all’esterno in cerca di soluzioni, e si nutre acriticamente di ciò che viene propinato (spesso la versione più semplificata o anche il miglior risultato cristallizzato di noi stessi), si finisce per perdere il bagaglio di esperienze degli altri, la formula, i passi, i modi, la temporalità del processo, le narrazioni utili a capire che:

1) Non è sempre facile, anzi quasi mai

2) Ci vuole tempo

3) Si procede passo passo – quindi inutile pretendere cose assurde e irrealistiche, o scoraggiarsi prima del tempo

4) Se vedi qualcuno che è arrivato non è perché è sempre fottutamente fortunato o per forza di cose – visto che siamo in Italia – raccomandato, ma spesso si è fatto il di cui sopra “mazzo tanto” solo che non te lo racconta o tu non lo sai

5) Se è arrivato lì è perché forse ha smesso di lamentarsi, quantomeno pubblicamente, e si è concentrato sul positivo,  sul lavoro da farsi. Quindi se puoi non gli dire “eh….certo, parli bene tu che vivi in un posto fantastico” – oppure – “ah si, parli bene tu che non hai figli quindi il tempo ti avanza” – oppure – “ah si, certo anche io potendo fare quel Master”….Non lo fare.
Perché al 99% dei casi non sai di cosa stai parlando. Non sai cosa ha vissuto l’altro, a cosa ha dovuto rinunciare per ottenerlo – anche fosse stato “solo” rinunciare a lamentarsi….e sappiamo che non è facile.

6) Spesso ha saputo conquistare un pubblico (magari sul web), essendo se stesso o quantomeno personale nel suo procedere, nelle sue scelte, accettando di non poter piacere a tutti, e rischiando anche di perdere (e questo funziona anche nel Personal Branding).

Quindi trai ispirazione dai successi altrui, sempre!!! E cerca di capire come ci sono arrivati, il punto di partenza, le sfide, gli ostacoli che hanno incontrato e come li hanno superati. Quali caratteristiche – anche personali – hanno coltivato che li ha aiutati a compiere il loro viaggio dell’eroe fino a destinazione.
Le aziende che vanno nelle Università a presentarsi, a fare Employer Branding, spesso sono ancora concentrate su una presentazione di risultati. Tutto bellissimo e interessante. Per un ragazzo forse sarebbe molto più interessante capire che viaggio dell’eroe hanno fatto – e fanno ogni giorno – i vostri dipendenti.
Con quello, forse, si identificano di più. E nel racconto (il più creativo possibile) ricordarsi di mantenersi “reader focused” ovvero mettersi nei panni del lettore/ascoltatore.

I candidati, potrebbero invece meglio orientarsi anche prestando maggiore attenzione ai profili LinkedIn di persone che stimano professionalmente, che sono giunti a fare il lavoro cui aspirano.
Uno stimolo per capire in quali aziende hanno costruito il loro percorso, quanto ci sono restati, in che ruoli, come è progredita la loro carriera,attraverso quali tappe.

Chiedo spesso alle persone di mappare la realtà, e solo dopo, riflettere e trarre delle indicazioni o conclusioni utili per sé. Questo esercizio – che toglie anche parecchia ansia – ci aiuta anche a scoprire i nostri pregiudizi, le nostre paure sabotanti, le nostre motivazioni. Si tratta di un lavoro che è il contrario esatto del giudicare dalle apparenze o dai sentito dire. Le apparenze vanno prese e shakerate, filtrate, indagate…per vedere cosa c’è dietro il backstage, per capire se quel tipo di percorso può davvero fare per noi, se siamo disposti a percorrerlo o se preferiamo guardarci la sfilata e giudicare solo ciò che le show ci mostra.

Ma noi lo sappiamo, lo show è uno show, è costruito per farti sognare…Ciononostante, oggi trovo più interessante e utile per i nostri tempi uno show – costruito per farti sognare un percorso – rispetto a una presentazione di un mero risultato – seppure patinato.

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